Karate

KARATE


Karate è un'arte marziale nata nelle Isole Ryukyu, (oggi Okinawa), in Giappone. Fu sviluppato dai metodi di combattimento indigeni chiamati: te( letteralmente: "mano vuota"?) e dal kenpō cinese.
Il Karate fu sviluppato nel Regno delle Ryūkyū prima della sua annessione al Giappone nel XIX secolo. Fu portato sul continente giapponese durante il periodo degli scambi culturali fra i nipponici e gli abitanti delle Ryukyu. Nel 1922 il Ministero dell'Educazione Giapponese invitò Gichin Funakoshi aTokyo per una dimostrazione di karate. Nel 1924 l'Università Keio istituì in Giappone il primo club universitario di Karate, e nel 1932 tutte le maggiori università avevano i loro club.In un'epoca di crescente militarismo giapponese,il nome fu modificato da mano cinese mano vuota che in entrambi i modi viene pronunciato karate – ad indicare che i nipponici svilupparono una forma di combattimento di stile giapponese.Dopo laSeconda Guerra Mondiale Okinawa divenne un importante sito militare statunitense, ed il Karate popolare tra i soldati stanziati sulle isole.

Nato come arte marziale per il combattimento e l'autodifesa, con il tempo il karate si è trasformato in filosofia di vita, in impegno costante di ricerca del proprio equilibrio, in insegnamento a "combattere senza combattere", a diventare forti modellando il carattere, guadagnando consapevolezza e gusto nella vita, imparando la capacità di sorridere nelle avversità e di lavorare con determinazione e nel rispetto degli altri. Solo quando questo insegnamento verrà compreso appieno, sostengono i suoi estimatori, l'allievo potrà essere veramente libero e realizzato.
 "Il Karate può essere considerato come una lotta con se stessi, o come una maratona lunga tutta la vita che può essere vinta solo attraverso l'autodisciplina, il duro allenamento e i propri sforzi creativi".






Karate-Dō - "Via della Mano Vuota"
Kara significa vuoto. Te significa mano. Dō significa Via, ovvero il percorso di autoperfezionamento che si intraprende attraverso questa disciplina. La parola giapponese karate, nel complesso, si compone di vuoto e pugno, non il vuoto in sé, ma in relazione ad un lavoro, ad un'attività, cioè mettersi all'opera per fare il vuoto. Il termine zen ku, che indica lo spirito vuoto, l'assenza di Ego, può essere pronunciato anche "kara".
Questi concetti suggeriscono che il praticante di karate dovrebbe allenare la propria mente affinché sia sgombra, vuota da pensieri di orgoglio, vanità, paura, desiderio di sopraffazione; dovrebbe aspirare a svuotare il cuore e la mente da tutto ciò che provoca preoccupazioni, non solo durante la pratica marziale, ma anche nella vita. Si può quindi riassumere che il karate è un'arte; una disciplina che si applica a mani nude, di origine giapponese e che rafforza il corpo e lo spirito.
"Come la superficie di uno specchio riflette qualunque cosa le stia davanti, così il karateka deve rendere vuota la sua mente da egoismo e debolezze, nello sforzo di reagire adeguatamente a tutto ciò che potrebbe incontrare." G. Funakoshi
Storicamente ad Okinawa, patria di quest'arte marziale, pur essendo in uso l'accezione karate, più spesso si adoperavano altre parole: te o bushi no te (mano di guerriero).



  • KIME

Il Kime, nella pratica delle arti marziali Giapponesi, può essere definito come la contrazione massima di tutto il corpo, ovvero una contrazione isometrica di ogni singolo distretto muscolare. Quando si esegue una tecnica e si adopera la kime, tutto il corpo si contrae al massimo in modo da riuscire a sfoderare molta potenza, sia per tecniche d'attacco, sia per parate, sia per assorbire colpi che non si sono riusciti a parare. La kime è sempre accompagnata dalla respirazione ibuki e spesso sfocia in un Kiai.

  • RESPIRAZIONE IBUKI
Ibuki (息吹?) è una tecnica di respiro rumoroso, adoperata nelle arti marziali, con l'obiettivo di assorbire qualsiasi forza contraria; essa è fatta con una lunga espirazione e si conclude con un respiro breve e vocalizzato[1].
Questa tecnica è il canale attraverso il quale il tanden collega lo spirito al corpo, attraverso il Ki. Questa tecnica serve per contrarre tutti i muscoli del corpo in un solo momento ed è atta ad assorbire un colpo ricevuto senza risentire alcun danno, o comunque una minima parte. Questa contrazione, che avviene tramite la respirazione ibuki, è detta contrazione kime. Con la respirazione ibuki e con il kime, si ottiene il Kiai[2].
Per ottenere tale respirazione, occorre:
  • 1) All'inizio, respirare lentamente e silenziosamente in modo tale che il respiro arrivi fino al diaframma. Respirate così silenziosamente che non si riesca a capire se state respirando o no.
  • 2) Contraete l'addome e forzate una lunga espirazione a bocca aperta.
  • 3) Quando vi sembra di avere esaurito tutta l'aria nei vostri polmoni, contraete l'addome e forzate l'espulsione di un ultimo respiro. Mettete la lingua tra i denti.
Il suono che si sente uscire attraverso la respirazione ibuki è un suono forte, animalesco e quasi minaccioso. Questo è dovuto alla contrazione muscolare dell'intero corpo, compresi bocca e gola, e dal fatto che l'aria è spinta fuori dall'addome.[3].
La respirazione ibuki si divide in due tecniche:
  • ibuki yoo (solare) avviene con la parte bassa dei polmoni, solitamente poco utilizzata, mediante l'abbassamento dei fasci addominali e l'inspirazione nasale. L'espirazione avviene in maniera rumorosa, con l'aria espulsa per la contrazione addominale e la rotazione in avanti del bacino.
  • ibuki in (lunare) è molto più morbida di quella solare, sempre addominale ma meno profonda e quindi meno rumorosa; è perciò usata nell'esecuzione di tecniche più morbide.

  • Il KIAI
Il Kiai nelle arti marziali è il grido che accompagna i momenti "topici" di un kata (forma) o di un kumite (combattimento), in cui si dirige la massima energia vitale per intimorire e sopraffare l'avversario.
Essa è un'espressione di senso compiuto: Ki (気) sta per energia vitale e ai (合, 合い) può essere tradotto come unione. L'individuo unisce la propria energia vitale e quella della natura attraverso l'espirazione provocata dalla forte contrazione addominale. La tradizione orientale fa risiedere la vitalità fisica nell'addome (tanden) e ritiene che degli appropriati esercizi respiratori possano incrementarla. È il diaframma che consente una respirazione profonda e ampia, mentre il movimento dei soli muscoli costali induce una respirazione superficiale e di difficile controllo. Il tempo dell'espirazione corretta (ventrale), determinata dalla decisa contrazione dei muscoli addominali corrisponde, quindi, al momento di massima espressione di forza.

L'altra componente del Kiai è psicologica. Il grido è intimamente connesso alle emozioni individuali, quando le nostre normali risorse non possono assicurarci la sopravvivenza, la forza e la volontà che necessitano emergono solo con l'esasperazione delle emozioni. La possibilità di ampliare le capacità in condizioni estreme ha permesso agli antichi guerrieri di codificare il grido, che divenne il kiai.

Si osserva un diverso momento di espressione del kiai nelle diverse arti marziali, per esempio nel kendo il kiai avviene prima e non all'atto finale, questo perché l'uso di un'arma, la katana in questo caso, implica di per sé un risultato devastante che invece, a mani nude, può essere conseguito solo con il ricorso all'esasperazione fisica. Nel kendo, non dovendosi incrementare l'aspetto fisico, viene dato grande risalto alla volontà risolutiva che induce l'azione. Il Kiai è la quinta essenza dell'energia latente che è in ognuno di noi.
Lo spirito si attiva in vista di intraprendere un'azione, di esternare un sentimento,ecc. e viene sospinto de un energia determinazione che non è altro che il Kiai stesso.
Si tratta di un vero e proprio stato mentale che precede un'azione e la determina.

ReiKi  

[Ki=energia Rei= che scorre, fluisce] altro non è che la spiritualizzazione del Ki ed affonda le sue radici nello scintoismo giapponese, nonostante in alcuni ambienti si tenti di minimizzare l’origine religiosa per l’evidente ragione di non creare conflitti con il cattolicesimo. Oggi più di allora esistono svariate Scuole di Reiki, più o meno accreditate, più o meno giapponesi, ma la sostanza di tutte è la stessa: promuovere una tecnica di auto-guarigione che prevede concretamente l’apprendimento di posizioni precise delle mani sul corpo, da seguire durante l’auto-trattamento tanto quanto il trattamento prestato ad altri, sempre e comunque con l’intento di guarigioneMikao Usui monaco giapponese diede nome ReiKi all’ “ARTE DEL GUARIRE”.

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